Animazione|Installazione|Mapping Architetturale
Alessandro Grisendi | Marco Noviello
Il concetto di appartenenza in [Appartenenze]20.20 si sviluppa a partire dall’idea che l’umanità, fin dalle sue origini, non sia mai stata immobile né isolata, ma continuamente attraversata da spostamenti, incontri e contaminazioni. Generi, popoli, culture si sono sempre intrecciati nello spazio comune del nostro pianeta, dando vita a un patrimonio condiviso che si rinnova senza sosta. L’appartenenza, in questo senso, non è mai fissità, ma fusione dinamica, risultato di infinite combinazioni.
L’opera rappresenta questa rete mondiale di flussi come se scaturisse da un punto originario, un luogo primordiale che si ramifica in tutte le direzioni, unendo etnie e identità che, viste da lontano, perdono i propri contorni particolari per farsi parte di un unico corpo visivo. Di ciascuno restano frammenti — nomi, città, gesti, sguardi — che non si cancellano, ma si ricompongono in una visione corale, quella di [Appartenenze]20.20.
I nomi propri e quelli delle città scorrono sulle pareti come segni luminosi, richiamo a una geografia invisibile che nasce dai dati reali contenuti nel rapporto annuale UNHCR Global Trends sui flussi migratori nel mondo. La stanza diventa così un archivio vivente, un contenitore in cui scorrono i fotogrammi di un’umanità costantemente in viaggio. Lo spettatore si trova immerso in un tessuto sensoriale fatto di occhi, mani, bocche: frammenti di vite provenienti da paesi lontani e vicini al tempo stesso, che si incrociano, si sovrappongono, si mescolano, fino a comporre un’immagine unitaria che si svela solo nello sguardo di chi osserva.
In questa prospettiva, l’appartenenza non è vincolo né limite, ma necessità di evoluzione, condizione essenziale per la crescita delle nuove generazioni. È un orizzonte che invita a immaginare possibilità inedite di convivenza, oltrepassando gli stereotipi e le rigide definizioni che imprigionano le identità in cornici statiche o conservatrici. [Appartenenze]20.20 ci ricorda che il nostro destino è comune, e che soltanto accogliendo il movimento, il mutamento e l’incontro possiamo dare forma a un futuro più aperto e condiviso